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Riccardo Minuti ricorda Mario Redi scomparso ieri
di Riccardo Minuti
La boxe “non è un pranzo di gala”, eppure quella di Mario Redi è stata una boxe prudente, intellettiva, basata sullo studio e felina, capace di cogliere gli attimi. I suoi avversari giravano larghi, badavano bene a non restargli sul tiro, perché il suo gancio, lesto e invisibile, era come il pinzo del crotalo, se non andava a segno, la sola folata metteva sgomento. Per i tantissimi amici la notizia della sua scomparsa è stata un uppercut a ciel sereno che li ha lasciati sul colpo, tramortiti ed affranti.
Quella di Mario Redi è l’intrepida storia di un bambino nato a Marciana dalla Chiana in provincia di Arezzo nel ’43, quando la guerra stava per assestare i suoi drammatici colpi di coda, e dal cielo stavano per precipitare gli infernali ordigni carichi di morte e distruzione. Scampato all’apocalisse, gli inopinabili itinerari della vita lo spinsero con la famiglia a trasferirsi nel borgo storico rurale di Villa Saletta che allora pulsava fiorente e produttivo. Ai ritmi fieri e operosi del mondo contadino prende quindi a snodarsi la biografia di Mariolino, un bambino esile e gracilino, che matura la ferrea determinazione di volersi riscattare e diventare qualcuno nella vita, con la voglia prorompente di far sapere al mondo che lui esiste. E cosa c’era di meglio della boxe, per guadagnarsi rispetto, farsi onore e modellarsi un fisico da sballo. Nacque così la sua predilezione verso il pugilato, a partire dalla sua infanzia aspra e spigolosa, proprio come lui lo sarebbe stato sul ring.
Alla boxe Mario si affaccia in modo prudente, con diligenza e con scrupolo. È un atleta molto attento a non sbandare, ben consapevole che con il pugilato non si deve scherzare, e se sgarri o fai il furbo non ti perdona… La palestra di piazza Trieste è presa d’assalto. È una ressa continua. Sono gli anni ’60, i tempi delle grandi imprese di Sandro Mazzinghi. È un via vai convulso e incessante di giovanotti che smaniano dalla voglia di calzare i guantoni e menare cazzotti imitando Mazzinghi.
Fra i tanti, Mario Redi fu quello che più di tutti balzò lesto sulla ribalta della boxe nazionale ed europea. Dopo una brillante gincana fra i dilettanti, la sua carriera da professionista lo vede salire 44 volte sul ring e subire sei sole sconfitte.
Nel dicembre 1970 a Novara batte nettamente Oronzo Pesare e mette le mani sul titolo italiano, un traguardo prestigioso a quei tempi, quando la boxe si contendeva la ribalta sportiva popolare con calcio e ciclismo.
Solo per un soffio Mario Redi non riuscì ad afferrare anche la corona europea dei pesi piuma. Nel ’71 lasciò lo scenario italiano, per abbracciare la ribalta europea dove trionfò a Parigi mettendo a terra Ould Makloufi e Abdou Fakyh. Subito dopo Redi si sbarazzò implacabilmente anche di Thomas Matthews, Michel Jamet e Jose Bisbal. A quel punto la chance europea sembrava ormai a portata di mano, ma la boxe non sempre viaggiava su binari trasparenti e corretti. Così purtroppo l’occasione svanì.
Restano agli atti della boxe italiana le parole di Giovanni Branchini, che di Mario Redi esaltò le potenzialità di: “pugile di caratura mondiale, dotato di grande potenza e in grado durante il match di abbattere chiunque fino al suono dell’ultimo gong”.
Oggi purtroppo l’ultima campana è suonata per Mario… anzi l’ultimo gong… quel temuto ultimo gong della vita che “livella” ciascuno di noi e al quale non c’è via di scampo… Non ci resta che stringere forte in un abbraccio Patrizia, e salutare un amico e una figura speciale che ha dato prestigio alla storia sportiva d’Italia e della nostra Valdera. Addio Mario R.I.P. e che la terra ti sia lieve. —